Perché “essere presenti” è così importante?

SUSAN ELAINE LONG

Lingua:

presenza terapeutica

Perché “essere presenti” è così importante?

Come spiegano Geller & Greenberg, “essere pienamente presente permette una reattività sintonizzata, reattivita’ basata sulla percezione cinestetica ed emozionale dello stato emotivo ed esperienziale dell’altro contemporaneamente al proprio…”

Nella società occidentale abbiamo imparato a reagire. Nell’incontro con l’amico e il nemico, le reazioni sono controllate dal cervello rettiliano e il sistema limbico, le parti piu antiche del cervello, che controllano le emozioni e l’istintivo. Quando reagiamo, non è coinvolto necessariamente il lobo prefrontale, la sede della ragione. Cio’ significa che ci lasciamo spesso guidare dal subconscio, da azioni involontarie. Nella maggior parte dei casi, permettiamo che sia l’istinto a guidarci.

Il cervello rettiliano è la ‘prima donna’ dell’impulso reattivo, è essenziale per la nostra sopravvivenza in quanto ci informa se ‘lottare o fuggire’ dal contesto in cui ci troviamo. Nel sistema limbico sono incise le nostre emozioni: gli attaccamenti, le avversioni e le esperienze della prima infanzia (quando le capacità linguistiche non hanno ancora preso forma). L’istinto è influenzato dalla nostra esperienza durante la prima infanzia, creando delle risposte condizionate, condizionate delle nostre esperienze. Il cervello rettiliano e il sistema limbico agiscono spesso insieme in quanto connessi dall’atto esperienziale: più un evento e’ carico emozionalmente , più sarà scandito nel cervello rettiliano. Il presente viene valutato da loro sulla base della nostra esperienza. Anche una piccola somiglianza con un evento passato può scattare una reazione, talvolta non appropriata. PTSD è un caso perfetto, dove, per esempio, il suono di un clacson è equiparato all’esplosione della bomba ricordato dall’esperienza militare e la persona agisce di conseguenza completamente inappropriata con violenza o una paura esagerata. Quando il Sistema Nervoso avverte anche il minimo pericolo, il centro della ragionevolezza (il lobo prefrontale) è bypassato impedendo un pensiero ragionevole.

Nello sviluppare la Presenza Terapeutica diventiamo capaci di riconoscere e mettere da parte queste reazioni. Nel migliore dei casi diveniamo capaci di controllare e cambiare il sistema nervoso e l’impulso rettiliano attraverso l’auto-guarigione. Se raggiungiamo quest’obiettivo, non siamo più schiavi delle reazioni causate dalle esperienze passate, queste sono disinnescate. Le reazioni involontarie si manifestano su tutti i piani: verbali, fisici, ed emozionali. Quando diveniamo capaci di agire in modo cosciente siamo capaci di fare un passo indietro dalle situazioni e agire consciamente: con i pazienti che hanno subito traumi e con pazienti in ospizio riusciamo a rimanere radicati e stabili.

La terminologia psicologica per la reazione involontaria di avversione o di attrazione da parte del terapista nei confronti del paziente si chiama contro-transfert. Il contro-transfert si manifesta in sensazioni somo-emozionali e occasionalmente come ricordi o memorie di eventi passati.

Benedikte Scheiby evidenzia due tipi di contro-tranfert. Il primo è una reazione involontaria. Quando non abbiamo esplorato le nostre questioni personali, reagiamo impulsivamente al paziente. Queste reazioni distorcono la capacità di valutare sia il paziente, sia l’evento in questione. Questo meccanismo ci porta a pensare che tutto dipenda e coinvolga noi stessi, rendendoci inefficaci come amici, genitori e terapisti.

Il secondo scenario è uno che richiede l’aver esplorato queste nostre reazioni in un contesto di una terapia personale. In questi casi acquistiamo una forte consapevolezza delle nostre relazioni, permettendo alle nostre reazioni di rivelare informazioni preziose che aprono nuove possibilità.
• Prima possibilità: Riconosciamo la nostra reazione come tale e valutiamo che questa non sia rilevante alla presente situazione, dunque la mettiamo da parte.
• Seconda possibilità: Riconosciamo la nostra reazione come tale e valutiamo che sia una parte del nostro bagaglio personale, ma che cio’ nonostante potrebbe essere rilevante alla presente situazione, offrendo importanti intuizioni nella comprensione del paziente.
• Terza possibilità: Riconosciamo la nostra reazione somo-emozionale e comprendiamo che essa non scaturisca dal nostro bagaglio personale. In questo caso le sensazioni percepite hanno un profondo significato e possono rivelarsi molto importanti per la comprensione dell’altro e nello sviluppo di empatia nei loro confronti. Queste reazoni possono facilitare una profonda connessione e comprensione dell’esperienza e del vissuto del paziente.

La consapevolezza delle nostre avversioni e attrazioni nei confronti di persone, posti e cose facilia il nostro processo di auto-guarigione. Uso la parola ‘guarire’ per queste reazioni involontarie perché spesso scaturiscono da ferite psicologiche. Quando queste’ultime sono state guarite, rimaniamo coscienti delle loro origini ma non ne siamo più vittima.